La famiglia è il più grande nemico del mercato globale
di Benedetta Scotti
Nella biblioteca di una nota scuola di business un giovane universitario compila nervosamente il suo Curriculum Vitae. Appena sotto il proprio nome ha aggiunto: “celibe”. Incuriosito, un amico gli domanda il perché di quell’informazione specifica. Il giovane, come sorpreso dall’ingenuità della domanda, replica che spera, in tale modo, di aumentare le chances di essere assunto: “Se non hai famiglia, l’azienda sa che sei più flessibile in termini di orari e di spostamenti. Così hai più possibilità di essere selezionato”. Risposta emblema di quella mutazione socio-economica che potremmo riassumere così: dal “tengo famiglia” al “non tengo famiglia”. Da principio e fine dell’agire economico a deprecabile fardello e impedimento.
Con un’affermazione forse ardita, potremmo dire che oggigiorno la famiglia, economicamente intesa come prima scuola di solidarietà e di ponderato uso delle risorse, è un elemento eversivo, nel senso che è estranea ai meccanismi che regolano il mercato globale. Infatti, la naturale propensione al risparmio e la struttura solidaristica del focolare domestico mal si conciliano con un sistema economico costruito su una spesa consumistica senza limiti e fondato su uno spirito di competizione esasperante. Inoltre, i tempi e le logiche della vita familiare sono incompatibili con i – troppo spesso – massacranti ritmi di lavoro imposti dal mercato, da accettare docilmente pena il benservito per mancanza di competitività. Come suggerisce l’episodio (reale) del giovane studente alle prese con il curriculum, in Occidente il non tenere famiglia è divenuto un vero e proprio vantaggio competitivo. (…)
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